ROMA – Non sussiste reato se il centro collegato a un allibratore straniero, autorizzato ad operare in uno Stato Ue e illegittimamente discriminato, opera in modo trasparente accettando scommesse e pagando vincite, come stabilito da un decreto Mef del 2006. A condizione, naturalmente, che sia stata richiesta l’autorizzazione di pubblica sicurezza e che il rilascio di quest’ultima sia stato rifiutato per il fatto di non possedere la concessione. E’ questa la motivazione con la quale il Tribunale del riesame di Catanzaro, riprendendo le tante decisioni di Corte di Cassazione e Corte di Giustizia UE, ha annullato il sequestro dei marchi e delle insegne Stanleybet in tutta Italia. “L’assenza delle concessioni o autorizzazioni è da ritenersi conseguenza della portata limitativa delle disposizioni nazionali che disciplinano la materia”, di cui si è occupata la Corte europea. “In sede di rinvio pregiudiziale in un giudizio sulla presenza nell’ordinamento di Stanley International Betting”, è scritto nell’ordinanza, i giudici comunitari hanno riconosciuto “contraria” all’ordinamento UE la normativa italiana che ha “impedito alla società di entrare in possesso dei titoli concessori richiesti dalla legge interna per l’esercizio delle attività”. Neanche la regolarizzazione fiscale ha operato una rivisitazione della normativa interna “idonea a rimuovere meccanismi discriminatori nelle assegnazioni delle concessioni. Nelle tre gare indette nel 1999, 2006 e 2012, sono emersi profili discriminatori dell’operatore straniero, come affermato dalla corte di Giustizia Europea”.
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